“DATE LORO VOI STESSI DA MANGIARE”
DATE LORO
VOI STESSI DA MANGIARE
Lettera del Vescovo di Otranto per la Quaresima
INTRODUZIONE
“Il modo per noi cristiani di non essere sterili è offrire a Dio il nostro rendimento di grazie”. (Sant’Ireneo)
Carissimi, essere cristiani non è un tesoro perduto che bisogna ritrovare frugando tra i ricordi sbiaditi e le mappe ingiallite del passato, ma una pos sibilità di vita sempre nuova e permanentemente aperta sull’oggi di quanti vogliono vivere l’esperienza esaltante di Gesù di Nazareth.
Ecco perché la Quaresima ci raggiunge nelle nostre situazioni più diverse come una straor- dinaria opportunità, come un tempo di grazia, come il tempo in cui il Signore parla al nostro cuore di quel mondo nuovo – il Regno – in ge- stazione nella storia e ci incoraggia a non smet- tere di cercare, ad avere fede nella vita, a pren- dere sul serio l’impegno della condivisione. «Dio – scrive Papa Francesco – non ci chiede nulla che prima non ci abbia donato: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1Gv 4, 19). Lui non è indifferente a noi. Ognuno di noi gli sta a cuore, ci conosce per nome, ci cura e ci cerca quando lo lasciamo. Ciascuno di noi gli interessa; il suo amore gli impedisce di essere indifferente a quello che ci accade» (FRANCESCO, Messaggio per la Quaresima 2015).
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Guidata dallo Spirito e appassionata al Kairos dell’essenziale, anche la nostra comunità dio- cesana intende rinnovarsi nel Signore e, là dove è necessario, reinventare legami con i segmenti, spesso appena abbozzati o addirittura incerti, di questa nostra epoca.
Come apprendiamo dal Vangelo, l’imperativo che Gesù indirizza ai discepoli – «Date loro voi stessi da mangiare» (Mc 6, 37) – inscrive l’Eucarestia nel grande dinamismo dell’incontro e dell’accoglienza, quale pungolo che sprona ciascuno di noi a raggiungere gli altri e a “fare” della Chiesa il laboratorio di quel mondo “altro” che è il Regno di Dio.
Alla luce della pagina del Vangelo di Marco che abbiamo scelto come icona ispiratrice del cammino quaresimale di quest’anno, il Signore ci faccia desiderare ardentemente quel Pane che riscatta la fede dalle pastoie del formalismo, alimenti con la sua Parola la speranza che non delude, ci doni quell’amore che s’invera nelle cose e nelle persone che incontriamo.
Perciò – fratelli carissimi – mentre dirigiamo il passo nei deserti della vita, i nostri cuori non rimpiangano il cibo della schiavitù antica e non barattino la grandezza della vita con una pentola di cipolle! Chi mangia il pane del cielo non può chiudersi nell’indifferenza, né può trastullarsi nella provvisorietà delle cose, né accontentarsi di una fede disincarnata!
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Dal Vangelo secondo Marco (6, 30-44)
Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capi- rono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come
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pecore che non hanno pastore, e si mise a in- segnare loro molte cose. Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli di- cendo: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le cam- pagne e i villaggi dei dintorni, possano com- prarsi da mangiare». Ma egli rispose loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Gli dissero: «Dobbiamo andare a comprare duecento de- nari di pane e dare loro da mangiare?». Ma egli disse loro: «Quanti pani avete? Andate a ve- dere». Si informarono e dissero: «Cinque, e due pesci». E ordinò loro di farli sedere tutti, a gruppi, sull’erba verde. E sedettero, a gruppi di cento e di cinquanta. Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la be- nedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi disce- poli perché li distribuissero a loro; e divise i due pesci fra tutti. Tutti mangiarono a sazietà, e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uo- mini.
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I
“Vide una grande folla…”
risonanze bibliche
“E’ la Parola di Dio che suscita la fede, la nutre, la rigenera. E’ la Parola di Dio che tocca i cuori, li converte a Dio e alla sua lo- gica che è così diversa dalla nostra; è la Pa- rola di Dio che rinnova continuamente le nostre comunità”.
(PAPA FRANCESCO)
Tanta gente, tanta fame
Tanta gente, tanta fame, le ombre della notte che si distendono già dalla sera; poi l’intervento risolutivo del Signore che libera i discepoli dallo smarrimento e scioglie ogni preoccupa- zione. Un miracolo? Un fatto di cronaca reli- giosa? Una manifestazione di potenza? Un evento di rivelazione?
Effettivamente non è facile catalogare questa pagina del Vangelo di Marco, conosciuta come ‘prima moltiplicazione dei pani’ (cf Mc 6, 30- 44), anche perché ogni particolare avrebbe bi- sogno di un’estesa e approfondita analisi ese- getica. Fortunatamente, i numerosi e signifi- cativi indizi, disseminati nel testo e nel contesto, ci consentono di uscire dal vago e di immaginare sinteticamente la scena.
Stando al racconto, i discepoli hanno appena concluso la loro prima missione e si ritrovano con Gesù per raccontare gli esiti dell’esperienza vissuta e riposarsi un po’. Quando erano stati inviati, ai dodici era stato dato da Gesù «il potere sopra gli spiriti immondi» (Mc 6, 7); nel sommario seguente, però, il racconto già ci dice che essi fanno di più, ossia annunciano la conversione, scacciano i demoni, ungono e guariscono gli ammalati (cf Mc 6, 12-13): com- piono cioè le stesse azioni di prossimità e di testimonianza dell’irruenza della basileia (Re- gno) di Dio che hanno visto compiere a Gesù.
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In Mc 6, 30, quindi, si raccolgono nuovamente attorno lui e raccontano quanto fatto e – addi- rittura – quanto insegnato. All’intensificarsi del ministero verso l’esterno e al conferimento ai dodici di una funzione missionaria, si ac- compagna, quindi, lo sviluppo del rapporto speciale tra Gesù e i discepoli.
Certo, avrebbero davvero bisogno di un luogo solitario ed appartato, ma il viavai della gente, che accorre sempre più numerosa per ascoltare Gesù, non dà tregua. Persino l’escamotage di una fuga via mare fallisce miseramente, anzi finisce con l’attirare altre persone dalle città vicine. Marco ci lascia immaginare la gara di corsa tra la barca sul lago e la gente a piedi sulla sponda. Alla fine vince la gente, cosicché all’arrivo di Gesù il luogo che doveva essere solitario è ora gremito di una grande folla. E Gesù e i suoi discepoli non hanno nemmeno il tempo per mangiare: sono circondati da ogni parte, pressati non solo dalla calca della gente, ma dal moltiplicarsi delle necessità, dei pro- blemi, delle richieste, dei bisogni.
Uno scenario antico e sempre nuovo
La situazione è preoccupante sullo sfondo di un paesaggio arido e spoglio, il giorno avanza, e con l’incubo della fame cominciano probabilmente a farsi sentire lamentele e mor-
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morazioni. Non è raro che la fame rovini tutto: tutta quella gente, ormai alle strette, potrebbe lasciarsi prendere dal sospetto di aver seguito l’ennesimo ciarlatano, di aver capito male, di aver dato credito ad un sogno, ad un’illusione di libertà.
La mente educata alla Scrittura corre facil- mente ai giorni dell’Esodo, al cattivo ricordo dei giorni di Massa e Meriba (cf Es 17) e, più in generale, alle non poche difficoltà provate nel cammino verso la terra promessa. Ma, sul momento, è proprio questo che sfugge ai di- scepoli, intenti ad elaborare una soluzione molto più sbrigativa: congedare la folla perché ognuno provveda a se stesso andando nei villaggi vicini (cf v. 36).
Evidentemente, anche a chi si professa disce- polo quella situazione problematica può tirare brutti scherzi. La crisi, cioè, non risparmia chi segue Gesù ed è associato alla sua missione. La preoccupazione eccessiva potrebbe indurre a contestare Dio e a non ricordare la sua miseri- cordia, a mettere in discussione la sua compagnia lasciando affiorare la vecchia perplessità: «Il Si- gnore è in mezzo a noi sì o no?» (cf Es 17, 1-7).
Non solo fame, ma voglia di comunione
Prendendo le distanze dai discepoli e dalla soluzione prospettata, Gesù si mette ad inse-
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gnare molte cose (cf v. 34). Su questo l’evange- lista non risparmia indicazioni, quasi a rimar- care che più e ancor prima della fame Gesù coglie il bisogno di unità della gente, inscrivendo così la propria azione nel progetto di quel ra- duno dei figli di Dio a lungo annunciato dai profeti e atteso dalla storia.
Al fine di sottolineare che Gesù risponde a qualcosa di molto più essenziale e primordiale della fame, qual è appunto il desiderio di co- munione e di unità, l’evangelista completa la già ricca e feconda concentrazione di simboli e di allusioni all’esperienza dell’antico Israele con il riferimento al Salmo 23: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla, su pascoli erbosi mi fa riposare, […] davanti a me tu pre- pari una mensa, […] mi conduce per il giusto cammino per amore del suo nome» (Sal 23, 1- 2.5.3).
Il riferimento a questo Salmo veicola due aspetti importanti: in primo luogo, che la mensa è la ‘tappa’ di un cammino più che una stazione permanente; in secondo luogo, che tutta la scena gravita attorno al sentimento di ‘compassione’ che Gesù prova per quella folla di persone generose che lo seguono, forse af- fascinate dai miracoli e dai suoi insegnamenti di vita, ma purtroppo ancora lontane dall’aver compreso il mistero della sua persona.
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Sintonie tra cielo e terra
In effetti, l’evangelista – almeno per il mo- mento – non riferisce le reali motivazioni della gente, ma è alquanto esplicito nel registrare la percezione che Gesù ha di essa come di un «gregge senza pastore» (cf v. 34), vale a dire come una moltitudine di persone che ha bisogno non solo di cibo, ma di una ‘guida’ che sappia ascoltare i suoi bisogni più profondi e rispondere adeguatamente alle sue attese.
La sintonia con quella situazione porta il Maestro ad assumere e darsi pensiero per l’au- tentico bisogno di comunione che agita il cuore della gente, sfidando l’ovvietà rassegnata dei discepoli, spiazzati dal numero delle persone e dalla scarsezza delle risorse. Ascoltando la vita in profonda e commossa sintonia con quella gente, Gesù si schiera da tutt’altra parte rispetto alla logica degli uomini, piuttosto facili a calcolare e a voler padroneggiare su tutto e su tutti.
Possiamo, allora, comprendere la ragione per cui, incurante dell’evidente e impacciato disorientamento dei discepoli, indirizza loro un perentorio imperativo: «Date loro voi stessi da mangiare!» (v. 37). Poi, quasi a completa- mento della scena dell’Esodo, comanda di far sedere quelle persone in gruppi e gruppetti di cinquanta e di cento. E, così, mentre il deserto si trasforma d’un tratto in un’immensa distesa
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d’erba verde, il Maestro accoglie il poco di cui dispone la gente – solo cinque pani e due pe- sciolini – alza gli occhi al cielo e sazia la fame di tutti.
Più che alla straordinarietà di un miracolo, la pagina di Marco ci consente dunque di me- ditare sulla logica semplice con cui Gesù offre il poco dell’uomo all’azione del Padre. Prendere il pane, frutto del lavoro e della generosità degli uomini, rendere grazie e benedire, levare gli occhi al cielo: sono i gesti disarmanti della potenza del Regno che Gesù è venuto ad inau- gurare.
È in questa direzione che il racconto della ‘moltiplicazione’ pone il suo senso non tanto nell’abbondanza del pane e nelle ceste che avanzano, quanto piuttosto nell’incredibile fi- ducia che Gesù ripone nel Padre: è questa, in- fatti, che trasforma la carenza in sovrappiù e trasfigura il presente ad immagine del futuro.
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II
“Ebbe compassione di loro…”
spunti teologico-spirituali
“Giungiamo ad essere pienamente umani quando siamo più che umani, quando per- mettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero”.
(PAPA FRANCESCO)
Esposti agli altri
Secondo le indicazioni del racconto di Marco che abbiamo ripercorso, la compassione è, ad un tempo, la condizione previa e l’atteggiamento adeguato di quel conoscere che smaschera gli inutili fantasmi, scaccia le sterili voglie, dissipa la preoccupata impotenza degli uomini. E ciò perché, nella sua essenza più profonda, è un sentimento che viene dal riconoscersi nel e con l’altro, nella dinamica di un ritrovarsi e non di un mero dovere di umanità che, tutto sommato, potrebbe o non potrebbe esserci; è vulnerabilità estrema di fronte al bisogno del- l’altro, percezione di essere ‘scoperti’, ‘cercati’, ‘esposti’, senza tregua alla sua presenza. In quanto evento del cuore, che gradualmente si estende alla mente, la compassione è, dunque, il volto concreto dell’Eucarestia.
A partire da essa diventa comprensibile la ragione per cui le esigenze della gente siano più importanti del riposo dei discepoli e di qualsiasi altra comodità. L’attenzione all’altro ribalta le priorità: il meritato riposo cede il posto ad una vasta operazione di distribuzione del pane e il bisogno di tranquillità si trasforma in un’intensa attività di servizio.
Non di solo pane
Attenzione, però: il pane non basta! Non a caso, il vivace va e vieni della distribuzione dei
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pani è preceduto dal dono non meno impor- tante della Parola, come espressamente dice il testo: «Si mise ad insegnare loro molte cose» (v. 34).
Prima del pane, è necessario che la parola autorevole di Gesù nutra il cuore, incoraggi gli animi e apra alla speranza. È importante cioè che l’alimento dello spirito non sia pensato come separato dal cibo per il corpo. Prima che il pane sazi la fame, spetta alla parola colmare eventuali distanze offrendosi quale condizione di possibilità della condivisione.
Anche a questo proposito possiamo cogliere nella narrazione marciana un ulteriore e signi- ficativo suggerimento: in quanto dono che non avanza pretese, la parola che Gesù rivolge alla gente intensifica la prossimità: ai suoi occhi l’umanità non è solo fame di pane, ma bisogno di infinito. Lui sa bene, infatti, che non ba- stiamo a noi stessi persino quando siamo sazi!
Vittoria sul peccato
Nella dinamica di questa Parola che apre al pane si illumina di senso l’imperativo che Gesù rivolge ai suoi – «date loro voi stessi da man- giare» (v. 37) –, quale attestazione formidabile di un’Eucaristia che sigilla la sua Presenza non tanto nella mera e statica materialità di un pane, bensì nel gesto del condividere e ‘distri-
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buire’ o, ancor più radicalmente, del ‘distri- buirsi’. Di qui, come giustamente insegna la tradizione della Chiesa, la ragione per cui l’Eu- caristia ricapitola quanto Gesù ha manifestato con le sue parole, con i gesti accoglienti della sua prassi, con i segni e i miracoli del Regno. In quanto Dio per gli uomini, è Colui che fa spazio all’uomo e mostra in ogni situazione sino a che punto e in quale misura l’uomo sia la destinazione ultima di Dio.
È qui – carissimi – il fondamento o, se vo- gliamo, il paradigma di quel nuovo umane- simo a cui siamo in questi mesi sollecitati a riflettere. Solo assumendo la causa dell’uomo come causa di Dio possiamo vivere le nostre eucaristie come vittoria definitiva su quel pec- cato antico, su tutte le sue false promesse di es- sere gli esclusivi riferimenti del bene e del male, su tutte le sue seduzioni a consumare egoisticamente ciò che, in verità, dovremmo condividere e compartecipare.
Passione per l’altro
La premurosa compassione verso le folle e l’imperativo che Gesù rivolge ai discepoli ci of- frono l’occasione per ribadire un tratto speci- fico e caratterizzante dell’esperienza cristiana, vale a dire sull’attenzione all’altro in quanto ‘passione’. Ovviamente, passione non solo nel
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senso di emozione, impulso, fervore o entusia- smo, ma come assunzione e presa in carico dell’altro. Passione da vivere nella forma della responsabilità o, meglio, nella modalità del- l’andare verso l’altro e che, in definitiva, è la più formidabile possibilità per incontrare noi stessi. Passione dell’altro e per l’altro secondo la logica dello ‘scandalo cristiano’ tanto più profondo quanto più grande è l’amore che lo mette in atto.
«Date loro voi stessi da mangiare» è l’impe- rativo che sollecita i discepoli ad incontrare ogni uomo nella sua irripetibile identità e nella sua singolare situazione esistenziale: i lontani come i vicini, le donne come i bambini, i gio- vani come gli anziani, i sani come i malati, quelli che vivono all’ombra del peccato come coloro che si distinguono per giustizia e san- tità. Con le parole di una celebre espressione, è l’imperativo che mira a quella ‘convivialità delle differenze’ che, mentre anticipa l’Omega della storia, segna la nostra quotidianità con il senso reale del pane eucaristico. Oserei dire che in quell’imperativo il cielo si apre alla terra nel segno della condivisione stabilita tra Dio e l’uomo e sigillata una volta per sempre nel mi- stero dell’Incarnazione. È in questo senso, in- fatti, che il ‘prossimo’ è per noi cristiani la verità incarnata della fede, al di là e talvolta anche contro i facili cataloghi delle cose da fare e dei doveri morali da ottemperare! D’altra
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parte, la prossimità e la presenza del Signore nell’Eucaristia non è semplice ‘stare’ o ‘tro- varsi’, ma ‘con-sonanza’, ‘consentire’, ‘compas- sione’ possibile e autentica solo sul piano possibile dell’incontro e della solidarietà. Ha scritto Luciano Manicardi:
«La compassione appare come il fremito delle viscere, una risonanza viscerale della sof- ferenza dell’altro, una risonanza che si fa con- sonanza: la sofferenza dell’altro grida e la compassione fa del mio corpo una cassa di ac- coglienza e di risonanza alla sua sofferenza. La visione di colui che soffre diventa ascolto».
La sofferenza dell’altro ti raggiunge? Allora c’è un cammino obbligato: va’ verso di lui, fatti prossimo. Il sentimento della compassione su- pera la diffidenza e, con audacia, con fiducia, va incontro all’altro. La compassione, infatti, è la forma fondamentale dell’incontro vitale e fe- condo con gli altri.
Non disperdere
«Date loro voi stessi da mangiare» equivale a dire che l’Eucaristia porta in sé l’invito a non disperdere e a non disperderci, a non seguire strade individualistiche e sensazioni intimisti- che; è sollecitazione «a correre il rischio del- l’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e
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le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo. L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarna- zione, ci ha invitato alla rivoluzione della tene- rezza» (FRANCESCO, Evangelii Gaudium, n. 88).
Questo straordinario passaggio di Papa Francesco coglie l’essenza dell’imperativo eu- caristico come spinta a ricomporre il tessuto talvolta lacerato delle nostre relazioni ecclesiali tramite un amore che si fa così concreto al punto da darsi come cibo. «Date loro voi stessi da mangiare»: è una provocazione fortissima, un appello alla fraternità universale, perché at- testa, contro ogni ottusità perbenista, che dob- biamo fare tutt’uno con il pane che spezziamo per garantire la tenuta della comunione del corpo ecclesiale! È l’imperativo che prelude al gesto supremo consumato nell’Ultima Cena, da cui il Maestro non esclude nessuno, pur sa- pendo di essere tradito e consegnato.
Vivere distribuiti
Seguire Gesù – lo sappiamo – non è appren- dere una dottrina, ma lasciarsi plasmare dalla forma più alta del vero, che è appunto il pane spezzato e distribuito.
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In tal senso, un’esistenza radicalmente euca- ristica, che si conforma quotidianamente a quella di Gesù, è un’esistenza distribuita, ov- vero decentrata e perciò votata alla comu- nione. È l’offerta di chi ha vinto su ogni chiusura e autosufficienza. Di qui, l’impegno, per noi, a ‘distribuire’ il pane e a ‘distribuirci’ come discepoli che accolgono ogni uomo e ogni donna nello stile di un servizio che non crea steccati ed esclusioni, certi che il pane eu- caristico non ha vincoli di proprietà ma solo legami di carità, il pane di coloro che, nono- stante debolezze e fragilità, sono pienamente disponibili a camminare con tutti.
Come abbiamo appreso dalla pagina evange- lica, sull’erba non ci sono ospiti o stranieri, né persone appena tollerate o poco gradite! Quella folla numerosa, quelle persone scono- sciute, quei ragazzi in crescita, quelle donne af- faticate, quegli anziani carichi di anni ricevono in dono una Presenza, non un semplice pezzo di pane!
Nella forma distribuita di quel pane è signifi- cato l’impegno per un amore da verificare in concreto, il dono per eccellenza che ci costringe al bilancio decisivo. Se, come assistiamo in que- sti giorni, l’ingiustizia e la violenza possono osta- colare la circolazione dei beni o limitarli a pochi fortunati, l’invito di Gesù strappa il velo davanti ad occhi fin troppo abituati all’Eucaristia e ci apre a orizzonti nuovi e a percorsi inediti.
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III
“Spezzò i pani…”
riflessi ecclesiologici
“La Chiesa “in uscita” è la comunità di di- scepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. “Primerear – prendere l’iniziativa”: vogliate scusarmi per questo neologismo. La comunità evangeliz- zatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore”.
(PAPA FRANCESCO)
Forma ecclesiæ
Nella logica di quella Chiesa in uscita sol- lecitata da Papa Francesco, il «date loro voi stessi da mangiare» si pone come l’impera- tivo diretto al cuore della Chiesa, la cui mis- sione è tanto più feconda quanto più si edifica nella forma del ‘distribuirsi’. Distri- buendosi eucaristicamente, essa si radica sempre più profondamente nella quotidianità della storia degli uomini e la feconda con i segni del Regno.
Obbediente a questo imperativo, la Chiesa si conforma sempre più al suo Signore e realizza se stessa in quanto comunità di amore e di servizio al di là e contro assetti purtroppo ri- duttivi entro cui è talvolta pensata e percepita dai suoi stessi figli.
Anche a questo proposito, tornano forti e inequivocabili, oltre che opportune, le parole di Papa Francesco: «La comunità evangelizza- trice si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sof- ferente di Cristo nel popolo. Gli evangelizzatori hanno così “odore di pecore” e queste ascoltano la loro voce. Quindi, la comunità evangelizza- trice si dispone ad “accompagnare”» (FRANCESCO, Evangelii Gaudium, n. 24).
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Per la Chiesa, insomma, il pane eucaristico non è mai solo un pane da consumare, ma un progetto da realizzare, uno spazio da costruire, un compito aperto. È l’unico dono la cui forza fa cadere le tante e cangianti maschere della nostra finitudine sazia e piena di sé!
In termini più discorsivi ma non meno di- sarmanti, oserei dire che una comunità che vive distribuita ‘come’ l’Eucaristia attesta anche agli uomini e alle donne del nostro tempo che non vi è attimo della vita che non abbia in sé la propria consistenza, dal momento che il senso dell’esistere – la cosiddetta felicità – è solo nella condivisione, ovvero nell’amore che dona e che, elargendo, si espone.
Che il «date loro voi stessi da mangiare» in- serisca nella nostra comunità diocesana un nuovo stile! Che sia la destituzione definitiva dell’egoismo dai cui cocci, di solito, fiorisce la libertà vera! Che dall’essenza di quel pane di- stribuito ciascuno possa ritrovare la profonda verità del proprio essere uomo.
Ascoltare la storia
La comunità ecclesiale, dunque, sull’esempio del Maestro, manifesta la propria autenticità quando si pone in ascolto dell’umanità e della storia. La bellissima pagina di Marco su cui stiamo meditando sollecita anche la Chiesa
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di oggi a non appiattirsi sul dato di fatto piut- tosto evidente – c’è crisi, sono in tanti e hanno fame – ma a guardare in profondità, a cogliere ciò che manca davvero, a scommettere su ciò che è essenziale, a intuire tratti di trascendenza oltre l’opacità dei bisogni immediati.
Non si tratta di intellettualismo, ma di un atteggiamento concreto e senz’altri fronzoli che punta diritto all’urgenza della risposta da dare, che non perde di vista le istanze profonde degli uomini, tra cui in primo luogo il bisogno di una luce e di una parola che orienti l’esi- stenza.
La folla numerosa dei cinquemila è la figura dell’umanità che, nella sua strutturale disper- sione, va e viene, si avvicina e si allontana, do- manda e spesso si dilegua, soprattutto quando smarrisce il proprio orizzonte di senso e si ri- trova senza una prospettiva entro cui guardare e guardarsi.
A questo livello, le nostre comunità pos- sono fare molto educandosi ed educando gli uomini e le donne a contemplare la realtà con gli occhi di Dio, incoraggiandoli a non vedere solo problemi e difficoltà, ma anche aperture ed opportunità, offrendo la propria compagnia con quella coinvolta prossimità che, in definitiva, è la chiave per moltipli- care il pane e leggere la storia a dispetto di ogni rassegnazione.
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In memoria di Lui
So bene che la prassi del condividere e del distribuire – carissimi – ci mette in crisi e, nello stesso tempo, ci entusiasma. Ciò non deve però impedirci di accogliere la sollecita- zione di Gesù a porre gesti concreti di respon- sabilità per il mondo e a rinnovare il nostro impegno.
Da questo punto di vista, una decisa linea di continuità annoda il «date loro voi stessi da mangiare» con il «fate questo in memoria di me». Due imperativi, ma una sola finalità, una doppia provocazione che spinge ad un unico obiettivo, cioè verso un’‘altra’ possibilità di esi- stere, di abitare il mondo, di realizzare e, quindi, esprimere la nostra umanità. Senza condivisione, infatti, nessun luogo potrebbe es- sere abitato, nessuna storia raccontata, nessun sogno accarezzato; senza condivisione sa- remmo solo storie disperse, cocci di una vita sparigliata, estranei e indifferenti gli uni agli altri.
Auguriamoci, dunque, che la disponibilità a ‘dare noi stessi da mangiare’ in ogni campo e settore della vita e il ‘fate questo in memoria di me’, che celebriamo riuniti intorno all’altare, rendano la con-divisione l’ossimoro possibile della vita ecclesiale. È per una storia protesa all’eternità che stiamo lavorando!
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Maria, Madre dell’Eucaristia e Madre nostra, ci aiuti a vivere l’imperativo – «date loro voi stessi da mangiare» – con la dolcezza di quei gesti che aprono la terra al cielo, che moltipli- cano il poco per tutti e attingono alla comu- nione del Padre, del Figlio e dello Spirito la propria inesauribile fecondità. Amen.
Otranto, 18 febbraio 2015
✠ DONATO NEGRO Arcivescovo
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Introduzione…………………………………………………………………………………….
I. “Vide una grande folla…” ………………………………….
II. “Ebbe compassione di loro…” ……………….
III. “Spezzò i pani…” ………………………………………………………..
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INDICE
Scritti e Documenti Pastorali
di Mons. Donato Negro
- In ascolto della Parola, a servizio dei poveri, in compagnia degli uomini, 1994.
- Sulle orme di Cleopa, Lettera ai giovani, 1994.
- Chiesa in cammino nella storia di oggi fra compito eattesa, 1994.
- Passi verso l’amore, 1995.
- Evangelizzare gli adulti a partire dal matrimonio e dallafamiglia, 1995.
- Un cuore nuovo, 1995.
- Crea in me, o Dio, un Cuore Puro, 1996.
- Servi… «fino all’orlo», 1996.
- Beati i “futuri” di cuore, 1996.
- Eucaristia, Spirito e Matrimonio, 1997.
- Lettera familiare sulla domenica, 1998.
- Il Battesimo dono dell’Amore, 1998.
- L’Amore è credibile. In cammino verso il Giubileo del2000, 1999.
- Giubileo, tempo di riconciliazione e segno di speranza,1999.
- La scena, la croce e noi giovani, 2000.
- Il sentiero della riconciliazione, 2000.
- Segno di unità e costruttori di pace, 2000.
- La Porta Aperta, 2000.
- Vestita di luce, 2001.
- Chiesa in cammino, 2001.
- Cammino di speranza, 2002.
- Cantateci la speranza, 2002.
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- Acqua nelle giare, 2002.
- L’Eucaristia al centro della comunità ecclesiale, 2002.
- Credo la santa Chiesa cattolica, 2003.
- Radicati nella carità e lanciati nella storia, 2003.
- Venite e vedrete, 2003.
- In mezzo alle case. Progetto pastorale, 2004.
- Il Giorno del Signore, 2004.
- Vengo a visitarvi nel nome del Signore, 2004.
- Il Segno dell’Amore, 2005.
- “Si alzò da tavola, depose le vesti…”, 2005.
- La fragranza del pane, 2005.
- È Natale, 2005.
- Una sola Speranza, 2006.
- In ascolto della Parola, 2007.
- “Oggi si è adempiuta questa Scrittura…”, 2007.
- Un augurio di integralità. Lettera agli studenti, 2007.
- Il mantello e il grido. Lettera ai giovani, 2007.
- La bellezza è nel condividere. Lettera agli studenti, 2008.
- L’Amore diventi la vostra vita. Lettera pastorale, 2008.
- “Vide e… gioì” (At 11,23). Lettera di “restituzione” a con-clusione della Visita Pastorale, 2009.
- Come Cristo Pastore. Lettera ai presbiteri nell’Anno Sa-cerdotale, 2009.
- ConMariainascoltodellaParola.LetteraPastorale,2009.
- Perché abbiano la vita. Lettera Pastorale, 2011.
- Abbiamo creduto all’Amore. Lettera alle famiglie, 2012.
- Credo, Signore!. Meditazione sulla fede, 2012.
- Testimoni della Fede. Lettera sull’Azione Cattolica, 2012.
- Nel segno di Elia. Lettera per la Quaresima, 2013.
- I loro nomi sono scritti nei cieli. Lettera per la Canoniz-zazione dei Martiri, 2013.
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- Rinati dall’Acqua e dallo Spirito. La pastorale battesimale nella Chiesa di Otranto, 2013.
- Il silenzio di una vita più grande. Lettera ai giovani, 2014.
- Il Pane della vita. Eucaristia e formazione ecclesiale, 2014.
- Natale… è sia la pace!. Lettera alle famiglie, 2014.
- Date loro voi stessi da mangiare. Lettera per la Quare-sima, 2015.
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NOTE E RIFLESSIONI PERSONALI
NOTE E RIFLESSIONI PERSONALI
Stampa: Editrice Salentina
Febbraio 2015